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Gli Otto Rami Dell’Ashtanga Yoga

Il concetto di Yoga è nato nel contesto culturale del Tantra, la cultura antica e originale dell’India. Il termine “yoga” può essere tradotto con la parola “unificare”, e più precisamente si riferisce all’unione della coscienza individuale e cosmica.
Lo stadio in cui la coscienza individuale si espande per raggiungere l’ampiezza della Coscienza Cosmica (Brahman in Sanscrito) si chiama Yoga.

Nella cultura indiana del Tantra, il sistema di pratiche sviluppato per portare l’uomo allo “stato di Yoga”, è conosciuto come Ashtanga Yoga, lo Yoga dalle “otto membra”. Questo sistema racchiude in se tutte le attività legate allo Yoga che, se praticate in modo integrale, portano a sviluppare uno stile di vita che induce l’evoluzione dell’individuo e dell’ambiente in cui vive.

L’Ashtanga Yoga è strutturato in questo modo:

Le prime due branche di questo sistema sono una serie di linee guida, che lo yogi assume come regole di vita. È meglio non incorrere nell’errore di considerarle dei dogmi, in quanto lo Yoga non è una religione, piuttosto sono i prerequisiti per poter ottenere dei validi risultati dalla pratica dello Yoga; come vedremo si tratta di suggerimenti per vivere in modo che la nostra coscienza sia sempre a posto sia con se stessi sia con gli altri e con l’ambiente circostante.
Nei tempi antichi gli aspiranti allo Yoga dovevano osservare questi principi per un lungo periodo di tempo prima di poter essere istruiti dal proprio Maestro Spirituale (Guru) nelle pratiche più avanzate.
Stabilirsi nella pratica costante di queste linee guida richiede tempo ed una profonda comprensione del loro significato, nonché la capacità di metterle in pratica nella densa quotidianità con tutte le sfumature che comporta.

YAMA: cose da non fare per vivere in armonia con il resto del mondo.

1. Ahimsa – Non violenza: evitare di cedere alla violenza è il requisito base per vivere in armonia con l’ambiente circostante, e qui si intende sia a livello fisico che a livello mentale e inoltre verso ogni forma di vita.  Ahimsa richiede una profonda riflessione per essere compresa in modo giusto, l’aggressività è una funzione naturale degli esseri viventi, è necessario distinguere tra le sue espressioni sane e quelle non sane.

2. Satya – Veridicità, onestà: uno yogi ricerca, prima di tutto, la verità nascosta dell’esistenza e quindi si impegnerà a praticare la verità anche quando si esprime. Satya però è la verità benevola e questo significa che bisogna fare attenzione a non ferire nessuno con le nostre parole anche quando siamo nel “vero”. In certi casi omettere di dire una cosa, anche se vera, può evitare inutili sofferenze ai nostri simili. È importante quindi anche qui riflettere su questo principio e su come applicarlo nella nostra vita.

3. Asteya – Astensione dal furto. Prendere ciò che non ci appartiene, ma anche non dare agli altri ciò che gli è dovuto, è ciò che chiamiamo comunemente “furto”. Lo yogi evita assolutamente di violare i diritti del prossimo e quindi si astiene anche dall’appropriarsi da cose che non gli appartengono, curandosi di monitorare la propria mente per verificare che inconsciamente approfitti di situazioni che vanno contro questo principio.

4. Bramacharya – Vedere ogni cosa come parte di Brahman. Questo è un punto delicato da comprendere perché spesso è tradotto come “celibato”. In realtà si tratta di un atteggiamento mentale che corrisponde nel vedere tutte le cose che ci circondano come l’espressione di un Tutto e quindi con rispetto, con amore. Nella tradizione tantrica brahmacharya  si concretizza in una pratica di meditazione chiamata madhu vidya.  Per coloro che decidono di portare le pratiche ad alto livello e magari scelgono una vita monastica, questa linea guida si trasforma nella pratica del celibato.

5. Aparigraha – Astenersi dal desiderare cose superflue. Praticare lo Yoga porta inevitabilmente a rendere la propria vita più ricca interiormente e, via via che questo accade, il praticante si rende conto che più cose possiede più la sua esistenza si complica costringendolo a rinunciare al contatto con uno stato di pace e serenità interiore per occuparsi di amministrare i suoi possedimenti con tutte le preoccupazioni e le responsabilità che comportano. Rinunciare alle cose superflue quindi rende la mente più libera, la vita più semplice e il contatto con se stessi più profondo. Chi si abitua a questo modo di vivere in genere è più sereno.

NIYAMA: cose da fare per vivere in armonia con se stessi.

1. Shaoca – Igiene fisica e mentale. Lo yogi prende in considerazione l’aspetto dell’igiene sia sul livello fisico sia su quello mentale: fisicamente l’igiene si cura tenendo il corpo pulito esteriormente usando detergenti naturali, e interiormente seguendo la giusta alimentazione e digiunando periodicamente. Sul piano mentale mantiene la sua mente pulita internamente con un atteggiamento di pensiero positivo e costruttivo, esteriormente impedendo agli stimoli negativi di penetrare nel subconscio, quindi scegliendo attentamente le cose a cui si interessa o appassiona.

2. Santosa – Accontentarsi, atteggiamento sereno. Spesso la vita non si svolge esattamente come vorremmo noi, anzi spesso gli eventi non seguono il corso desiderato e questo causa delusione, insoddisfazione, rabbia, ecc., l’atteggiamento giusto sarebbe quello di accogliere gli eventi senza reagire negativamente, accontentarsi di quello che la vita ci passa senza aspettarci le cose in un modo preciso. Questo è sicuramente difficile, ma la pratica dello Yoga in modo integrale sviluppa in modo concreto la capacità di rimanere sereni di fronte alle situazioni anche quando non ci piacciono e a saper godere delle cose che già abbiamo!

3. Tapah – Sacrificio, servizio e senso altruistico. Mettere le nostre risorse e le nostre capacità al servizio degli altri o di una giusta causa sacrificando parte delle nostre energie e del nostro tempo, è indicato dallo yoga come uno dei modi migliori per provare un senso di profonda unione con il Tutto. Fare volontariato porta a sentire che la nostra vita è un bene per chi ci circonda e a sua volta ci fa provare una profonda felicità. Vedere le persone intorno a noi che sorridono e stanno bene è meraviglioso! Bisogna fare però attenzione a non trovarsi a fare del bene agli altri solo perché si sia convinti che sia giusto farlo… potrebbe portare risultati opposti e aumentare il proprio ego. Il desiderio di praticare tapah nasce spontaneamente nel momento in cui il cuore si apre grazie alla meditazione.

4. Svadhyaya – Studio, introspezione. Questo punto ha due aspetti, uno legato allo studio della filosofia di vita, all’approfondimento del senso della vita, alla lettura dei testi legati allo Yoga (o a scienze che si siano occupate di svelare la natura profonda e nascosta della vita), all’approfondimento delle pratiche anche sul piano teorico, ecc. L’altro legato all’introspezione, allo studio di se stessi, alla ricerca di quei condizionamenti ereditati dalla società, dalla famiglia, dall’educazione che non ci permettono di essere completamente noi stessi.

5. Iswarapranidhana – Abbandono al Supremo. Nella tradizione del Tantra e quindi dello Yoga, questo punto trova una realizzazione concreta nella pratica della meditazione al primo livello. Il concetto di “abbandono” spesso è difficile da comprendere per noi occidentali. Si tratta di liberarsi dall’attaccamento al proprio ego, all’identificazione con la propria realtà soggettiva, individualistica e abbracciare un livello più alto di esistenza, o almeno un modo più elevato di concepirla. Praticando la meditazione si sviluppa la capacità di “abbandonarsi” all’entità suprema che regola la vita dell’universo intero per lasciarsi guidare dalla forza della sua natura.

Possiamo quindi dire che queste linee guida costituiscono il “Codice Etico e Morale” dello yogi. Il concetto di moralità nel Tantra è basato sul rispetto delle leggi della natura ed ha lo scopo di portare alla libertà dai legami delle illusioni materiali (maya) e dell’ignoranza (non conoscenza della vera natura dell’esistenza) che sono la causa di gran parte delle nostre sofferenze. Quando cominciamo a praticare lo Yoga è necessario mettere il nostro corpo e la nostra mente nelle condizioni ideali per raggiungere le dimensioni più profonde dello spirito, lo scopo di Yama e Niyama è appunto quello di eliminare tutti i disturbi psichici ed emotivi causati dall’odio, dalla violenza, dalla disonestà, dall’avidità e via dicendo.

ASANA: Postura. Il terzo arto dell’Ashtanga Yoga è costituito dagli esercizi e dalle posizioni dello Yoga. Anche in questo caso bisogna fare attenzione a non confondere queste posizioni con dei comuni esercizi di ginnastica; le posizioni Yoga infatti agendo direttamente sul sistema endocrino del corpo umano, promuovono una vera e propria trasformazione psico-fisica elevando lo stato di salute generale dell’individuo che potrà così dedicarsi serenamente alle pratiche meditative più avanzate.

PRANAYAMA: Controllo dell’energia vitale. Il quarto arto dello Yoga porta al controllo dell’energia vitale attraverso tecniche di respirazione sempre più complesse. Queste tecniche devono essere apprese e praticate sotto la guida di un insegnante qualificato, poiché comportano alcuni rischi se fatte in modo sbagliato, o nel momento sbagliato. Il pranayama inoltre, come le asana, può essere un metodo curativo e andrebbe imparato conoscendo la propria costituzione.

PRATIYAHARA: Ritirare la mente dal mondo esteriore. Il quinto arto è in realtà il ponte tra le pratiche “esterne” dello Yoga e quelle “interne”. Riferendoci alla vita nel mondo questo aspetto dello Yoga è il controllo che impariamo ad esercitare sugli organi di senso per tenere la mente lontana da quegli stimoli che la condizionano negativamente. Quando invece ci accingiamo a rivolgere l’attenzione nel nostro mondo interiore per praticare la meditazione, il pratiyahara è costituito da tecniche che permettono di ritirare i sensi dal mondo esteriore.

DHARANA: Concentrazione. Il sesto arto dello Yoga è la concentrazione della mente su un unico oggetto (concreto o astratto), questa è una fase molto importante della meditazione, ne costituisce la base e deve quindi essere solida. Tutte le tecniche di meditazione usate nelle varie tradizioni spirituali hanno alla base lo sviluppo della concentrazione.
Quando la mente si concentra a lungo senza distrazioni, si entra nella fase successiva della meditazione che oltre ad essere una vera e propria pratica con tanto di tecniche sviluppate per sostenerla, rappresenta quello stato mentale propriamente definito “meditativo”.

DHYANA: Contemplazione. In questa fase nel campo della coscienza esistono solo l’oggetto contemplato, il soggetto che lo contempla e l’atto della contemplazione. La concentrazione quindi è stabile e la coscienza può svilupparsi su un livello più alto. Quando quest’ultima fase è mantenuta a lungo si entra nello stadio del Samadhi in cui il soggetto e l’oggetto della contemplazione si fondono insieme diventando una cosa sola, questa è appunto la meta del cammino yogico.

SAMADHI: Estasi. Il Samadhi può essere raggiunto (e praticato quando si è stabili nella disciplina) a vari livelli. Quelli più alti sono due: il Savikalpa Samadhi in cui si sperimenta il raggiungimento della Coscienza Cosmica mantenendo l’identificazione con la propria individualità ed il Nirvikalpa Samadhi, stato in cui la coscienza essendo completamente unificata non lascia spazio ad un’identificazione dualista (io Lui).

 

Fonte: ashtangavinyasayoga.it